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Museo Archeologico Ferruccio Barreca

Sant'Antioco tofet

Il museo, il tofet e il vino

Il Museo Archeologico Ferruccio Barreca, il tofet, il vino: questi i punti per scoprire la storia, i riti, di un tempo lontanissimo dell’isola di Sant’Antioco in Sardegna, che così lontano dopo tutto non è, scoprirete il perché. Partiamo, restando durante tutto il viaggio sempre al museo. La struttura è una sorta di serpentone modulare rivestito in pietra, quasi interamente d’un solo piano, adagiata su una leggera altura dalla quale si scorge la bella vista del tratto di mare stretto dalle coste orientali dell’isola di Sant’Antioco e quelle occidentali della Sardegna nel territorio comunale San Giovanni Suergiu. Tre le sale espositive dove sono allestiti: nella prima sala l’ambiente, nel caso specifico l’Abitato dal prenuragico fino al romano. Le necropoli, soprattutto punica e romana, nella seconda sala ed infine l’ultima sala dedicata al tofet (tophet).

Un luogo speciale di sepoltura

Il tophet è il santuario cimitero d’origine fenicia, un’area sacra all’aperto, dotata di recinti, altari e sacelli, tra i più importanti del Mediterraneo. Si trova alle spalle del museo, oltre il giardino, a Nord – Nord Est del centro abitato, su una lieve altura rocciosa. Il color ruggine dei licheni geografici che rivestono in parte i massi di origine vulcanica, balza subito alla vista. Tra le frastagliature rocciose e i terreni circostanti, per diversi secoli venivano situati, disposti uno sull’altro, dei contenitori in ceramica che custodivano le ceneri di feti o di bambini deceduti in tenerissima età.

Erano considerati in passato luoghi di offerta sacrificale, ma gli studiosi, in base alle analisi condotte sui resti, sono giunti alla conclusione che fosse il luogo sacro per quei bambini nati morti, deceduti prematuramente per le malformazioni o per cause naturali, dove poter compiere i riti funerari. Era anche il luogo dove compiere riti con dei sacrifici animali per invocare la benevolenza degli dei Tanit e Baal Hammon, affinché i prossimi nascituri venissero alla luce forti e sani e se esauditi, gli dei venivano ringraziati con delle stele scolpite, anch’esse disposte nel luogo. Ci si ritrova così di fronte a migliaia di contenitori a forma di pentola, disposti uno sull’altro, mescolati alle stele e ai resti degli animali sacrificati, separati gli uni dagli altri da strati di terra e pietrisco.

La panoramica storica

La visita al museo e al tofet appaga pienamente la curiosità e solletica le emozioni. Si compie un balzo indietro nel tempo di 5500 anni, la datazione dei primi insediamenti umani nella splendida isola di Sant’Antioco, testimoniati dalle domus de Janas di Is Pruinis. La pagina dei nuragici e quella successiva dei fenici, che in pacifica convivenza, attorno al 770 a.C. fondarono Sulki, poi Sulci, da cui deriva il nome del territorio sud-occidentale sardo. Si apprendono i traffici commerciali che andavano dalle coste mediorientali della Spagna, dal Nord Africa all’Etruria e con gli scambi giungevano suppellettili greci ed etruschi. Da centro dei fenici, nel 520 a.C. la città passò ai cartaginesi. La conquista punica portò un periodo di crisi, ma Sulci rifiorì grazie al suo porto e alle importanti risorse del territorio, tra le quali il prezioso l’argento.

Il vino

A questo punto vi chiederete cosa c’entra il vino? Beh, il vino è il tema, il percorso trasversale che unisce tutte le sale e rende l’esperienza al Museo Archeologico Ferruccio Barreca davvero unica e indimenticabile.

Il “vin rouge”, ops! Il fil rouge col vino attraverso i reperti rinvenuti durante gli scavi. I vasi, le brocche askoidi tipiche nuragiche testimoni del vino prodotto in Sardegna ed esportato in Spagna, in Etruria nel settimo secolo a.C., in Sicilia, a Cartagine. Le brocche askoidi che accompagnavano particolari anfore del tipo Sant’Imbenia. La particolarità di quest’ultimo vaso è che è modellato a mano ad impasto con le argille locali, come facevano i nuragici, ma è un’anfora di tipo orientale destinata a contenere e trasportare vino, il che indica come le culture si siano pacificamente integrate.

Brocche con orlo bilobato i contenitori del vino che veniva consumato in onore del defunto, probabilmente secondo il rito della marzeah. La coppa tripode utilizzata per triturare le erbe da mettere nel vino secondo le ricette siriane. La kilix che i greci usavano per il simposio o per dei giochi col vino come il kottabos. Le grattugie perché il vino veniva speziato, addolcito con il miele, quasi mai bevuto puro, ma con aggiunta d’acqua e delle spezie come la cannella o l’alloro. Sono state ritrovate ricette col vino all’anice e quelle ancor più particolari con erbe aromatiche e l’aggiunta di formaggio grattugiato. Il vino è la bevanda sacra che è in grado di avvicinare alla divinità. Riti antichi che appartenevano alla cultura del Vicino Oriente legati al culto degli eroi e dei re.

La Wine Tasting Experience

Dopo i reperti, la storia, le rotte commerciali e riti per gli uomini e gli dei, si chiude il percorso in modo “di-vino” con la “Wine Tasting Experience”, dove assaporare proprio quelle ricette col vino che appartengono e narrano un lontano passato. Bendati, attraverso l’olfatto, il gusto e il tatto si entra in contatto diretto coi profumi, i sapori e le consistenze delle spezie e delle erbe. Il vino, le erbe, le spezie, il miele e gli abbinamenti per noi inconsueti, ma tanto amati e utilizzati nell’antichità si possono bere, vivendo oggi un’esperienza antica o rivivendola se credete alla reincarnazione. Il gioco è indovinare con quale o quali ingredienti il vino è stato speziato. Una gara fino all’ultimo sorso.

Xabarra

Usciti dal museo a pochissimi chilometri, il vino continua essere protagonista. La storia è quella di Bettina Caddeo viticultrice di quarta generazione di sole donne. Le viti che crescono all’Azienda Vitivinicola XABARRA sono di Carignano del Sulcis: un vitigno autoctono a bacca nera. Il suo colore, l’alcolicità e la struttura lo rendono un ottimo vino da taglio. Ma Bettina ha deciso di lavorare diversamente. Il suo vigneto a piede franco coltivato rigorosamente ad alberello sul terreno sabbioso di quest’isola, circonda la sua casa. Se ne prende cura e lo segue personalmente. Lo Xabarra è il suo vino che nasce dall’accurata selezione delle uve. È l’aperitivo con lei, che chiude in bellezza quest’esperienza, con biscotti con la “saba”, fichi, formaggio, tre bicchieri e naturalmente una bottiglia della preziosa bevanda.

Un viaggio tra passato e presente strettamente legato al vino, il nettare degli dei e degli uomini.

Sant’Antioco è un’isola piena di sorprese.

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Questo racconto è stato scritto ascoltando: Inferno e Paradiso di Enten Hitti

Testo utile: Il Museo Archeologico Ferruccio Barreca di Sant’Antioco di Sara Muscuso – Carlo Delfino Editore.



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