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#SOCIALCORNER CENTRO EMILIA ROMAGNA

La Biblioteca Malatestiana

Biblioteca Malatestiana

Patrimonioo dell’umanità

Un #SocialCorner specialissimo, iscritta nel Registro della Memoire du Monde dell’UNESCO, è uno dei tesori preziosi della nostra bella Italia, siamo a Cesena alla Biblioteca Malatestiana che vi assicuriamo, vi emozionerà per la sua bellezza e importanza.

L’elefante indiano

Le due ante della porta stanno per essere aperte e finalmente potremo vedere la bellissima Biblioteca Malatestiana. Occorrono due chiavi per aprire la porta in legno scuro, costituita da 48 formelle intagliate dove è incisa la data 15 agosto 1454. Le formelle più in alto raffigurano quattro simboli legati alla signoria dei Malatesti quelli della rosa quadipetala, della grata, delle tre teste e le tre bande a scacchiera, opera di Cristoforo da San Giovanni in Persiceto.

L’infisso in legno è incorniciato dal portale sul cui timpano campeggia un elefante: simbolo anch’esso molto amato dalla famiglia e utilizzato anche al Tempio Malatestiano a Rimini. Un cartiglio, a differenza di quelli riminesi, si adagia sulle forme del possente animale con inscritto il motto “Elephas Indus culices non timet” la cui traduzione recita “L’elefante indiano non teme le zanzare”.

Si notano ai lati dell’architrave, gli stemmi della signoria, quello della grata a sinistra e quello delle tre teste a destra. In alto sopra alla porta, sulla parete c’è un altorilievo con ritratto un altro elefante circondato da una ghirlanda, racchiuso da una cornice quadrata. A destra della porta è apposta una targa in pietra che indica Matteo Nuti colui che condusse e portò a compimento i lavori strutturali.

I 58 plutei

Si apre la prima anta della porta e poi l’altra. Il nostro sguardo è attirato dalla luce che attraversa il rosone posto sulla parete in fondo della navata centrale. Due file di colonne scanalate sorreggono la volta a botte della navata centrale e quelle a crociera, delle navate al lato destro e sinistro, dove sono disposti i plutei.

I plutei sono elementi essenziali dell’arredamento delle antiche biblioteche, che hanno la funzione di armadio e di leggio allo stesso tempo. I 58 plutei, 29 a destra e 29 a sinistra, ognuno con le effige dei Malatesta che si alternano e ripetono più volte, sono disposti vicino alle finestre ad arco acuto tutte identiche l’una all’altra.

Dalle finestre entra la luce dall’esterno che si diffonde nell’ambiente giungendo a terra sul pavimento in cotto è riflessa creando una sorta di righe chiare e poi scure con le ombre che si allungano dai plutei. Siamo emozionati ad essere qui, alla Biblioteca Malatestiana.

Il sole che orienta

La biblioteca è stata edificata sopra all’allora refettorio del convento dei frati dell’osservanza francescana. L’idea di costruire uno studium annesso al convento era già maturata nella comunità, essa, infatti, richiedeva spazi più ampi e adeguati per lo studio e collocazione dei testi.

Dell’esigenza dei conventuali era già stato messo a conoscenza il papa, se ne fece carico, però, Novello Malatesta, era l’anno 1450, anche se qualcuno ipotizza che sia avvenuto qualche anno prima. Il mecenate in realtà si chiama Domenico Malatesta, nato a Brescia il 6 aprile del 1418, figlio illegittimo di Pandolfo III Malatesta e di Antonia da Barignano.

L’architettura della Malatestiana di Cesena trova ispirazione dalla biblioteca del convento domenicano di San Marco a Firenze, opera del Michelozzo del 1444. L’edificio è orientato verso oriente, verso la Terrasanta, come se fosse una chiesa, con l’ingresso a ovest. Simbolicamente il sole viene considerato come se fosse il Risorto, sta scritto, infatti, in un versetto dell’evangelista Luca “Verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre…” era quindi consuetudine per i religiosi edificare tenendo in considerazione questo riferimento essenziale.

Il lavoro di 6 o 7 “professionisti”

Sono state notevoli le somme di denaro impiegate da Novello per mettere insieme i volumi della biblioteca. Essa si compone di 343 manoscritti, di questi, 50 sono il contributo dei frati, altri 129 sono stati realizzati nello scriptorium su indicazione del signore di Cesena e dei suoi valenti collaboratori appositamente chiamati. Gli altri manoscritti sono stati acquistati o ricevuti in dono o ereditati. Sono da aggiungere i codici di Giovanni di Marco, il medico di Novello, che integrò e arricchì il già nutrito numero di testi.

Tutti i manoscritti sono riposti in piano sui plutei legati con una catenella di ferro battuto, per impedire lo spostamento in altri luoghi, che consentono comunque la consultazione e lo studio una volta poggiati i testi sul piano inclinato. Il valore di ogni manoscritto equivale al costo di una casa dell’epoca ed ha richiesto il lavoro di 6 o 7 persone.

La qualità dei manoscritti è altissima, fin da subito riconosciuta dai suoi contemporanei. In molti hanno avuto il privilegio di studiarli e consultarli essendo la biblioteca pubblica, aperta a tutti, anche ai laici.

L’edizione più piccola

La scelta accurata dei testi, dei materiali usati: pergamena di capretto, il cuoio, la pregevole rilegatura e le preziose miniature farebbero pensare che Novello sia un bibliofilo appassionato. In realtà è stato anch’egli uno studioso, come lo è stata l’amata moglie Violante, sorellastra di Federico da Montefeltro, che con molta probabilità ha contribuito e condiviso anche lei le scelte del marito.

La Malatestiana è l’unico esempio di biblioteca umanistica conventuale perfettamente conservata nell’edificio, negli arredi e nella dotazione libraria. Per i motivi appena elencati, l’Unesco, l’ha inserita, prima in Italia, nel Registro della Memoire du Monde.

La lungimiranza di Novello ha salvaguardato la biblioteca che nonostante sia collocata un convento, fatto usualissimo all’epoca, affida la custodia al comune con l’impegno di vigilanza sull’intera collezione. Alla biblioteca malatestiana antica, si è aggiunta in seguito quella che è stata definita la Biblioteca Piana, quella moderna e quella per i ragazzi.

La chicca? È un libricino grosso poco più di due ditali stampato con i caratteri mobili di Gutenberg che detiene il record dell’edizione più piccola al mondo leggibile a occhio nudo. Di recente sono state riportate alla luce le ossa racchiuse nell’urna che si trovavano dietro la lapide posta sotto il rosone. Le indagini, che si stanno compiendo, sono per accertare se siano o no le spoglie mortali di Novello.

Mentre si chiudono le ante della porta e vengono fatte ruotare la prima chiave e poi la seconda nelle rispettive serrature, abbiamo condiviso una riflessione non supportata da fonti storiche. Pare che Novello abbia voluto simboleggiare con le due chiavi che il sapere deve essere di tutti e non può essere solo nelle mani del potere ecclesiastico o del potere civile. Ci piace immaginare che per Novello la conoscenza sia da aprire con le chiavi differenti.

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