Le Miniere di Rosas
Come un minatore ma senza faticare
Indossare il caschetto da minatore, chinarsi un po’ in avanti per evitare di sbattere la testa sulla volta della galleria di Santa Barbara, la santa a cui rivolgersi se si è minatori e immaginare la vita che si conduceva nelle Miniere di Rosas. Entrare nelle viscere della terra, vedere e toccare con mano dove uomini, donne ed in alcuni periodi storici anche i bambini vi hanno lavorato. Un luogo dove la retribuzione, allora come oggi, era diversa. Gli uomini avevano un trattamento economico, le donne erano retribuite con metà della paga degli uomini. Evidentemente per il datore di lavoro la cernita, dividere i minerali dallo sterile, era un lavoro da pagare di meno. Ai bambini, infine, veniva data la metà della paga delle donne.
Vita di miniera e le possibilità di farsi un futuro
Ci vuole poco a capire che quello del minatore è uno dei mestieri tra i più duri e faticosi. Gli errori si pagavano cari in tutti i sensi. Il solo fermarsi e tirare un po’ il fiato, per i capi era motivo per decurtare ore dalla paga. Una disattenzione, la scarsa comunicazione o un controllo mancato potevano decidere della vita o della morte. Bastava soltanto che l’energia elettrica saltasse e le pompe smettessero di funzionare e rischiavi, come capitò una volta, di morire affogato, perché le gallerie si riempivano d’acqua velocemente. In quella occasione furono fortunati, si salvarono tutti. La silicosi “l’eredità della miniera” compresi i problemi all’udito. Non c’erano i dispositivi di sicurezza individuali e collettivi adottati anni dopo.
Possibilità di un futuro
Eppure questo luogo, che in parte appartiene ad Ade, è stato anche luogo dove sono nati amori, si sono formate delle famiglie, è stata data la possibilità di potersi costruire una vita dignitosa. Un luogo dove c’è stata la prima donna con la patente d’auto della zona. Per molti minatori era un privilegio lavorarci. Avevano la possibilità di abitare gratuitamente nelle case appositamente costruite per loro e potevano starci finché lavoravano in miniera.
C’erano la scuola elementare, l’ufficio postale, l’ambulatorio per le piccole medicazioni e per le estrazioni dentarie, lo spaccio e la Direzione Mineraria. Sono nate amicizie fraterne, ci sono state gioie, festeggiamenti e balli quando i giorni erano rossi sul calendario. Nel giorno dell’Epifania ai bambini venivano donati dalla direzione abiti, dolcetti, e giocattoli. Alle Miniere di Rosas lavorarono 700 persone. Non tutte abitavano nel Villaggio Minerario. Alcune partivano da Rio Murtas, facendosi 3 chilometri a piedi ed in trentacinque minuti da casa raggiungevano il posto di lavoro. Coi soldi guadagnati c’era chi si era comprato la bicicletta, chi la Lambretta e altri ancora l’automobile.
Il dedalo di gallerie
Il breve tratto di galleria da visitare, è una minima parte rispetto al dedalo dell’intera miniera. Si è sviluppato seguendo i filoni minerari su sette livelli ai quali si accedeva attraversando gli scavi in verticale, detti forelli, dove erano poste le scale in legno. Se osservi i disegni dei prospetti, la miniera somiglia a un formicaio. Le gallerie avanzavano con l’uso di mine e della perforazione meccanica ad aria compressa. I primi perforatori in uso a Rosas risalgono alla fine del XIX secolo venivano tenuti a spalla e la perforazione avveniva a secco. Negli anni ’30 del XX secolo comparvero i perforatori ad acqua e dotati di sostegno. È famoso il perforatore Montabert T21. Ma le tecniche di lavoro non sono state sempre le stesse.
La rosasite
Dal 1851 quando fu firmata concessione nel Regio Decreto da Vittorio Emanuele II Re di Sardegna, controfirmato dal Primo Ministro Camillo Benso conte di Cavour, di “grezzo ne è passato dentro i carrelli” spinti a mano. La sua nascita la si deve a Enzo Perpignano, che individuò il filone nel 1832. L’imprenditore di Iglesias, ottenne il riconoscimento dell’area mineraria nel 1849 e due anni dopo la concessione alla Società Anonima delle Miniere del Sulcis e del Sarrabus da lui rappresentata.
La miniera di Rosas con quel decreto è la terza miniera più antica dell’isola. Dalle Miniere di Rosas per oltre 150 anni sono stati estratti prevalentemente piombo, zinco e rame. Fu scoperto pure un minerale fino ad allora sconosciuto l’idrossicarbonato di rame e zinco. Quest’ultimo minerale è noto ai geologi di tutto il mondo col nome di rosasite, scoperto dal prof. Domenico Lovisato proprio nelle miniere di Rosas dalle quali appunto prende il nome.
La chiusura della miniera e l’Ecomuseo
La chiusura della miniera avvenuta nel 1980 portò ad un inevitabile e lento decadimento delle strutture minerarie e la conseguente perdita di una importante risorsa del territorio. È importante sottolineare che tutti i lavoratori delle Miniere di Rosas furono ricollocati. Le ruspe avrebbero cancellato questo luogo se non si fosse messo di traverso il Sindaco di Narcao, il Comune dove si trova il complesso minerario in provincia di Sud Sardegna.
Il Comune vinse la sua battaglia e con sole 1000 lire acquistò tutto. Un enorme lavoro di recupero ha trasformato l’area nell’Ecomuseo Miniere di Rosas. Il breve tratto della galleria è soltanto il primo atto della visita che prosegue alla Laveria col suo impianto ancora funzionante. Qui il materiale grezzo una volta estratto, veniva frantumato, macinato, classificato. Attraverso dei procedimenti chimici si ottenevano i minerali pronti per essere stoccati e venduti, mentre il rifiuto andava a finire alla diga degli sterili.
Il museo Geo-Mineralogico e Storico
Altro atto è il Museo Geo-Mineralogico e Storico che si trova al piano inferiore, proprio sotto la Laveria. L’esposizione dei minerali estratti, una collezione di minerali provenienti dal mondo, gli attrezzi di lavoro dei minatori, del laboratorio chimico e gli oggetti che si trovavano nell’ufficio postale completano la visita. Gli ambienti che un tempo erano l’ufficio postale sono stati riconvertiti in un ristorante. Lo stabile dello stoccaggio in un bar dove ci sono ancora le rotaie dei carrelli che partivano dalla laveria poco distante da lì. Le abitazioni dei minatori sono state trasformate in ambienti ricettivi.
Tutto il complesso è stato trasformato fin nei minimi dettagli per accogliere i visitatori e ha creato nuovi posti di lavoro. Oggi chi la raggiunge ha modo di scoprire uno dei luoghi di rilievo della Regione Sardegna, della storia economica e sociale del Sulcis che fin dall’antichità era interessata dallo sfruttamento minerario, dai romani, ai pisani, fino alla fine secolo scorso.
L’Ecomuseo Miniere di Rosas è uno dei tanti volti, forse meno conosciuti dell’isola tanto amata dagli appassionati degli sport nautici, della tintarella e dei bagni in acque cristalline. È quella storia che racconta molto del carattere e della tenacia dei sardi!
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Il sottofondo musicale ascoltato durante la scrittura di questo racconto: Rubini di Mahmood & Elisa.
Libri utili: I minatori raccontano – Edizioni della Torre.