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Abbazia di San Vincenzo al Volturno

San Vincenzo al Volturno Nuovo

La Pompei dell’età di mezzo

Il sito archeologico dell‘Abbazia di San Vincenzo al Volturno, a Rocchetta Alta in provincia di Isernia è stato definito la Pompei dell’età di mezzo. Già la definizione indica l’importanza della destinazione molisana. Una pagina di storia meno conosciuta anche perché fuori dai tour consueti che va assolutamente inserita per quei viaggiatori a caccia di luoghi davvero speciali e unici.

Dai Longobardi ai Carolingi

Il Monastero di San Vincenzo al Volturno prese il nome dal fiume e dalla chiesa tardo romana che avrebbe fondato l’imperatore Costantino in occasione di un suo viaggio da Roma a Bisanzio. Il materiale usato è quello dell’insediamento precedente integrato con quello nuovo estratto dallo stesso banco di travertino, sistemato adottando tecniche aggiornate. Ecco gli inizi dell’abbazia. Fu fondata nel 703 d.C., da tre monaci beneventani che si chiamavamo Paldone, Tatone e Tasone, sotto la protezione, per un ottantennio, dei Longobardi. L’abbazia passò sotto la tutela dell’impero franco-carolingio, ed è in questo periodo che diverrà una delle stelle tra le più lucenti dell’Alto Medioevo.

I benedettini e la ripartenza dell’Europa

Facciamo un passo indietro. È necessario ricordare che dopo il crollo dell’Impero romano furono le abbazie monastiche fondate sulla regola, ora et labora, di san Benedetto da Norcia, a svolgere la funzione economica, sociale, culturale e politica, a diventare il polmone che fece ripartire il sistema nell’Alto Medioevo in Italia e in Europa. Furono le abbazie a ripuntare al rapporto uomo terra e non solo. Nelle abbazie e nei cenobi che si appresero e recuperarono arti, si crearono industre e officine, si aprirono foresterie e infermerie. Le abbazie svolsero un ruolo sociale di primaria importanza che, col passare del tempo, oltre a essere un centro di potere economico iniziarono a svolgere anche un ruolo di egemonia politica assolvendo il compito di funzione militare e fiscale.

Carlo Magno

San Vincenzo al Volturno fu uno di quei centri. Fu di tale importanza da essere preso in considerazione direttamente da Carlo Magno, il quale arricchì l’abbazia di territori nuovi e concesse importanti immunità. Dall’abate Autperto nel 778 passando agli abati, Giosuè (792-817), Talarico (817-823) ed Epifanio (824-842) l’abbazia crebbe abbellendosi. Per due secoli ha goduto e prosperato fino alla sua distruzione attuata dai Saraceni. I pochi monaci sopravvissuti e fuggiti in un primo momento altrove, tornarono dopo un trentennio. Essi tentarono di ricostruire e ripopolare il luogo, proseguendo il percorso per altri due secoli. L’abbazia certamente operò, senza però tornare agli antichi splendori.

La vastità dei territori

I territori di Benevento, quelli della Marsica abruzzese, di Valva, Sulmona, Penne, il territorio di Capua e la Liburia, la Puglia, e perfino il territorio di Piacenza, oltre allo zoccolo duro posseduto dal cenobio che si estendeva in quelle che oggi sono le province di Campobasso, L’Aquila e Frosinone ecco l’estensione dei possedimenti di San Vincenzo al Volturno. In seguito alle continue insidie dei feudatari locali e alle aggressioni l’Abbazia viene trasferita e ricostruita nell’attuale sede e riconsacrata dal papa Pasquale II. Come poi accade e la storia ce lo insegna, ogni grande momento finisce. Sono finiti gli imperi, le importanti famiglie come quella dei Medici e dei Gonzaga, tutto finisce e va in rovina, citando Buzzi.

Come una fenice

Così è stato per l’Abbazia di San Vincenzo al Volturno che ha visto scomparire i suoi monaci. Ma in questo caso ha visto anche una nuova resurrezione. Dalla scoperta della Cripta di Epifanio, alla donazione dei possedimenti di San Vincenzo da parte del duca Catamario alla Abbazia di Montecassino nel 1942. Alla ricostruzione dell’abbazia su progetto del monaco benedettino Angelo Pantoni. E poi alla riconsacrazione della Basilica abbaziale nel 1965 e all’insediamento nel 1990 delle suore benedettine venute dall’America. Pare che questo luogo sia come una fenice che ha ripreso a respirare aria monastica.

Il percorso archeologico

Il percorso del sito archeologico parte dal ponte della Zingara, passando alla Chiesa di Santa Maria in Insula, alla Cripta di Epifanio, alla Chiesa di San Vincenzo Minore, al Cortile, alla Sala dei Profeti, al Refettorio, alle Cucine e Fornace, continuando la visita al Lavatorium, al Loggiato, passando per le Tombe degli Abati, all’Atrio della Basilica Maior, fino alla Chiesetta di Santa Restituita e le officine monastiche si comprende ciò che è stato. Non chiamateli solo ruderi, ma testimoni di un tempo, pagine in pietra di storia.

La Cripta di Epifanio

La perla è certamente la Cripta di Epifanio, voluta dall’abate Epifanio che è ritratto in ginocchio nella scena della crocifissione. Tutto il ciclo va visionato con calma, attenzione e sedimentato per i suoi contenuti teologici. La mano dell’artista non è nota, ma ci sono dei punti di contatto e affinità con affreschi datati tra l’VIII e il IX secolo della Cripta del Peccato originale a Matera che fanno riferimento a loro volta all’arte benedettina-beneventana.

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