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Jodhpur la città blu

Jodhpur

Il deserto, la città del sole, il forte

Sabbia, rocce e dune modellate dal vento bollente, piccoli arbusti è il deserto, quello del Thar. Nelle sue vicinanze sorge la seconda città più popolata del Rajasthan, la città del sole, Jodhpur. I colori terrosi caldi del deserto sono in contrasto con in bianco e il blu della città dei bramini. I colori del cielo e del mare profondo, tingono molti degli edifici civili. Il colore blu simboleggia la figura del padre, del metafisico. Il colore maschile spicca insieme al bianco nella città che un tempo fu anche la capitale del Marwar.

Il Forte Mehrangarh domina sulla città. Le sue mura difensive sono intervallate dai bastioni alti quasi sette metri. Essi poggiano e si ergono seguendo la conformazione dello sperone di roccia dura e arenaria e si tingono degli stessi colori dei terreni aridi vicini. Mehrangarh significa “forte del sole” legato forse al dio del sole Surya. L’architettura del forte è imponente, uno dei più grandi dell’India. Fu Rao Jodha (1438-89) del clan Rathore, nel 1459, a costruirlo sul nuovo sito ritenuto sicuro. La posizione più elevata e le migliori difese naturali erano l’ideale per erigere i palazzi dove risiedere stabilmente.

Quando Hêlios, sul cocchio trainato dai quattro cavalli alati, allontana il cielo notturno stellato, gli uccelli prendono il volo sulla città, tentando qualche volo, ma sono subito cacciati dai falchi che, stridendogli contro, rivendicano il diritto di essere gli unici e incontratati signori dello spazio aereo intorno alla cittadella fortificata.

Le donne dietro le grate

La cinta muraria ha sette ingressi che consentono di accedere ai diversi palazzi al suo interno. I palazzi sono collegati tra loro da cortili. Le pareti esterne degli edifici all’interno del forte sono spesso decorate, ricordano i merletti a fuselli, ma sono di roccia. Dietro a quei pannelli di pizzo in pietra sono celate le finestre e gli ambienti dove si nascondevano le donne che abitavano a palazzo, le quali, solo guardando attraverso le grate avevano modo di assistere alle vicende del forte e quello che accadeva nel mondo esterno.

La devozione al maharaja di molte di queste donne era totale, ci racconta la nostra guida Lokendra, spesso considerate proprietà dell’uomo al quale erano sposate. Alla morte del loro sposo, preferivano bruciare vive sulla pira funebre del marito appena deceduto, piuttosto che vivere una vita da vedove. Vicino ad uno dei cancelli d’ingresso ci sono due serie di piccole impronte di mani, il segno tangibile la testimonianza delle ultime vedove che compirono l’estremo gesto. Correva l’anno 1843 e le mogli erano del Maharaja Man Singh.

I variopinti colori

Il blu azzurro è il colore associato al chakra della gola, ma di parole qui al forte se ne sentono poche oggi. Il silenzio domina le stanze visitate dai turisti e vigilate dalle mute guardie in costume tradizionale, ormai anch’esse parte dell’arredamento e soggetti degli scatti e selfie condivisi sui social. Vibranti i colori, sia quelli che tingono le pareti di alcune stanze dei palazzi, sia i raggi solari che attraversano il patchwork dei variopinti vetri rettangolari delle ampie finestre che “vestono” la luce che dipinge a sua volta i pavimenti. I colori e il gioco di luci di alcune stanze paiono i set ante litteram delle opere di David LaChapelle.

Le caste

La città di Jodhpur, sorse ai piedi del forte assumendo il nome del suo fondatore. La città blu dicevamo, il blu legato ai bramini, i primi delle quattro caste: la regola divina che divide nettamente il tessuto sociale indiano che vede per primi i sacerdoti, a seguire i cavalieri, i mercanti e per ultimi gli intoccabili. L’India è anche questo, una regola radicata così profondamente alla quale nessuno ha potuto sottrarsi e che nonostante le grosse aperture ancora oggi resiste. Le minute case della città, innalzate in pietra e arenaria, si affacciano sulle strette strade e spesso “indossano” il colore che nel simbolismo religioso, indica la verità ed è associato alla potenza creatrice di Dio. Nonostante il blu porti con sé un senso di pace e tranquillità sia sul piano fisiologico che psicologico i cittadini che la abitano sono molto vivaci.

Gli artisti che hanno amato il blu

Yves Klein, Vincent Van Gogh, Marc Chagall e forse anche Giotto avrebbero amato questo luogo. Nelle loro opere spesso domina il blu, simile a quello della serie dei “Nudi Blu” di Matisse. La tinta è identica a quella delle pareti di alcune strutture al Su Gologone in Sardegna. Legami che ci rammentano quanto siamo strettamente connessi gli uni agli altri e troppo spesso non ce ne accorgiamo.

Il laghetto e il monumento

Non esiste un fiume perenne nel distretto. Le principali fonti di irrigazione a Jodhpur, oltre all’acqua piovana, sono i pozzi scavati, i pozzi artesiani e i laghi realizzati dalla mano dell’uomo. Non molto lontano dal forte Mehrangarh si trova uno dei laghetti artificiali. Questo in particolare lo fece realizzare dal Maharaja Abhay Singh (1724-1749). Il lago specchia il monumento Jaswant Thada eretto in marmo di Macrana, lo stesso marmo del Taj Mahal. Fu costruito nel 1906 in memoria del Maharaja Jaswant Singh II (1888-1895) dal suo successore Maharaja Sardar Singh. Destano stupore le pareti interne del monumento che quasi per magia si illuminano quando il sole colpisce le pareti esterne. L’effetto è dovuto dalle caratteristiche del marmo che permette ad una parte della luce di essere attraversato.

Il blu della malinconia

Il blu torna ancora a raccontarci qualcosa, ma stavolta è il sentimento che esprime la separazione. Oltre al monumento di Jaswant Thada, qui si trovano i cenotafi della famiglia reale di Jodhpur. Si sa che in India i corpi della maggioranza dei suoi abitanti quando passano a miglior vita vengono cremati e le ceneri disperse, affidate ai fiumi sacri. Il blu della notte arriva di nuovo e il cielo stellato prende il posto dell’azzurro.

Le voci della città si mescolano e si intrecciano come le vite degli uomini e delle donne vestite ognuna con colori vivi spesso caldi e diversi. Noi assistiamo con piacere al formicolare della folla e godiamo gustando un samosa con il peperoncino tipico di questo territorio. Ad ogni morso divampa il fuoco in bocca, e ci chiediamo come mai man mano che ci avviciniamo al deserto maggiore è la capsaicina contenuta nei peperoncini e nelle pietanze servite.


Jodhpur è una delle innumerevoli meraviglie dell’India che abbiamo scoperto grazie alla consulenza di Yatra Exotic Routes.

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Quessto racconto è stato scritto ascoltando: Bloodfest (From Mizumono) · Brian Reitzell Hannibal Season 2


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